Con questa domenica entriamo nel mistero della Settimana Santa.
La Liturgia pone alla nostra riflessione la figura del servo sofferente che si fa dono in fedeltà a Dio e agli uomini, confermando nelle scelte la Parola che andava dicendo sulle strade di Palestina, rivelando fino in fondo il volto del Padre, un volto che ha i lineamenti della misericordia, del perdono incondizionato, della pace, dell’amore gratuito e vulnerabile.
Il Vangelo della Passione, ci mostra i diversi personaggi e quindi modi di porsi di fronte al Nazareno, dall’atteggiamento umorale della folla che benedice o condanna a secondo della "pancia" e del grido più forte, ai Pilato che non prendono posizione per paura e per il buon posto, a quelli come i soldati che obbediscono senza farsi domande e sfogano sui poveri le loro frustrazioni, ai sommi sacerdoti che mettono la loro legge e privilegi al di sopra dell' uomo e della verità, agli apostoli, impauriti, pronti a tradire per qualche spicciolo di moneta o a rinnegare per non compromettersi, per salvarsi la vita ed il buon nome.
Il Maestro, sulla croce rende vita quel farsi pane spezzato e vino versato, facendo dell’Eucarestia non semplicemente un rito, ma uno stile di vita, un modo di essere nel mondo per nutrire e portare avanti la vita.
La pietra rotolata sull’imboccatura del sepolcro vorrebbe essere l’ultima parola, la carta che chiude i conti e la partita, il sipario che si chiude sulla vicenda dell’oscuro falegname di Nazareth e la sua pretesa di essere Dio.
Quella pietra interroga noi, ci invita a riaprire il caso, ad esaminare la vicenda di Gesù di Nazareth, a dire la nostra, " dicono che è risorto”, e se fosse davvero vero?
Buon cammino, al mattino di Pasqua!
La Parola in prossimità della Pasqua ci conduce a Betania (casa di povertà), dove hanno domicilio le fragilità umane, la povertà più radicale e temuta: la morte.
Essa richiama al senso del vivere, ridimensiona Marta - signora, padrona, ossia il primato del fare, del produrre, dell'efficienza, del potere, e Maria - amata, cara, che chiude in casa, segrega e ammutolisce i sentimenti, le emozioni, la parte tenera, vulnerabile.
La morte di Lazzaro (Dio soccorre) è rotolare una pietra sulla speranza. È lasciare imputridire i valori più umani quali l’ospitalità, l’amicizia, la fratellanza, la trascendenza, vite gettate nel mondo votate alla morte.
Yeshua/ Gesù, ci raggiunge con il volto di un Dio umano che si commuove e piange, perché ama, e grida dal profondo tirando fuori dal nulla la vita, come all’alba della creazione, vita risorta e chiamata alla piena fioritura, libera dalle bende della paura e della costrizione, libera di respirare i propri sogni, di percorrere la sua strada, di respirare il cielo, di fare la parola amore .
I monaci da sempre hanno avuto un rapporto attento, di cura con il creato. Vivono scandendo il loro tempo con l’alternarsi delle stagioni attraverso l’anno liturgico.
I tempi di Avvento/Natale e Quaresima/Pasqua simboleggiano l’attesa e la resurrezione, la semina ed il raccolto, la vita nel suo dipanarsi nel tempo. Abitano il creato come metafora del cammino spirituale, simbolo della loro ricerca di sé stessi e di Dio.
Hanno dissodato terreni, come la propria anima, per renderli fertili e capaci di vita. Hanno strappato terra a paludi ed acquitrini per piantarvi viti ed ogni genere di frutti e vegetazione, così come nel cammino spirituale hanno tolto dal cuore attraverso l’ascesi la filautia, decentrando il proprio io e aderire all’Unum Necessarium, vivendo le promesse battesimali, che sono l’ideale monastico.
Hanno coltivato e custodito boschi, selve, monti. In essi hanno edificato monasteri ed eremi, perché la prossimità con la creazione fosse un aiuto alla lode di Dio ed alla contemplazione, proteggendo il silenzio e la solitudine dei monaci. Tra essi e il creato c’è un rispetto ed una custodia vicendevole.
Il giardino dell’Eden, in cui Dio e l’uomo passeggiavano insieme, non è per i monaci un Paradiso da rimpiangere ma da costruire vivendo la consegna, data da Dio ad Adamo di coltivarlo ( עָבַד - ‘avad) e custodirlo ( שָׁמַר - shamar), per trarci sopravvivenza e mantenerlo al futuro per le nuove generazioni, dando concretezza al famoso detto dei nativi Americani che ricorda che la terra non l’abbiamo ricevuta in eredità dai padri ma in prestito dai figli, perché è di Dio.
I verbi ‘avad, coltivare/servire come atto liturgico e shamar custodire/osservare, sono accostati alla creazione come alla Sacra Scrittura, in quanto anche in essa si squaderna la gloria di Dio come nella Bibbia, il Creato porta dell’Altissimo significazione.
Per questo va coltivato, come atto di culto, per dirne la sacralità e custodito, avendone cura, attenzione, rispetto, perché è terra santa.
I cambiamenti climatici ci mettono sempre più a conoscenza della siccità e della desertificazione che mettono a rischio persone e colture. L’oro blu, secondo alcuni, sarà causa dei prossimi conflitti e il suo possesso deciderà l’egemonia di un Paese su un altro. L’acqua è vita, già il vecchio e buon Talete aveva individuato nell' acqua l’archè, ossia il principio primo della possibilità della vita. Il tema delle letture di questa domenica è l’acqua e la sua importanza per la vita dell’uomo e della creazione, ma anche in senso teologico l’acqua è elemento necessario per la vita spirituale, il senso, la sete di Altro e di oltre che alberga in ciascuno. L’episodio della Samaritana è rivelazione della sposa perduta a causa dell’impasto dei popoli dopo la caduta del Regno del nord del 726 AC, ed i cinque mariti sono i Baal cioè signori/idoli che hanno preso il posto del Dio vero/IHWH, i cui templi costruiti sui cinque monti della Samaria dominavano e asservivano il popolo. Yeshua siede al pozzo di Giacobbe, al pozzo della promessa e dell’innamoramento del Patriarca e di Rachele, pozzo che parla al cuore, che cattura gli occhi e fa sobbalzare e fremere la vita. La Samaritana viene con una brocca, in un ora insolita, spinta dalla sete di vita, di piccoli sorsi per portarla avanti, limitati dalla capacità della brocca, e sempre da attingere e provvisori. Yeshua si propone come sorgente, acqua viva e libera, non circoscritta dall’uomo, acqua che zampilla dalla vita stessa e non da attingere da pozzi di altri. Sorgente che sgorga da dentro, che riecheggia nell' annuncio, che raggiunge i villaggi degli uomini bagnandoli di novità e di compimento di attese. Fonte che mette in movimento, che lascia alle spalle brocca e pozzo, perché non è contenibile nei recinti umani. Fonte che sgorga non da monti sacri, geografie della toponomastica umana, ma dallo Spirito, soffio di vita, che aleggia sulle acque e dalla Verità, nuda e semplice, come la vita, come Dio, che si fa adorazione, presenza di silenzio e meraviglia, spogli di parole e di concetti, che lascino il Mistero nella sua voce di silenzio sottile, acqua limpida e buona.