Il silenzio è un tema caro alla tradizione monastica e a San Benedetto che gli dedica il capitolo 6 della Regola.
Il silenzio non è fine a sé stesso ma è orientato all’ascolto. Il discepolo è chiamato a tacere e ascoltare, le parole e gli insegnamenti del Maestro, della Sacra Scrittura e della Regola. Ascoltare le parole del Maestro vuol dire innanzitutto rottura con le altri voci, insegnamenti della mondanità, per prestare ascolto e nutrirsi della Parola, per seguirne e mettere in pratica gli insegnamenti di vita, al fine di intraprendere un cammino di conversio morum, conversione, cambiamento di vita, di punto di riferimento, di scala di valori, di interessi, di gusti, non più obbedienti agli idoli ma al Dio vero.
Silenzio che va coltivato e custodito sia esteriormente che interiormente, dando attenzione ad esso non solo tacendo, ossia non emettendo parole ma anche nei gesti e nel corpo per non propagare rumore negli ambienti.
Il silenzio è habitat per intraprendere un percorso di interiorizzazione ovvero conoscenza di sé, adempiendo il comando di Dio ad Abramo: Lech-Lecha ( לֶךְ-לְךָ ), va’!
Per te, dentro te, per incontrare gli angeli ed i demoni che hanno domicilio in noi, per poi essere liberi di incontrare il volto di Dio e non le proiezioni del nostro io.
Silenzio che è grembo della preghiera, respiro della vita interiore in cui si percepisce la voce di respiro leggero, la presenza dell’Altissimo, Silenzio avvertito come spazio necessario per l’ascolto accogliente dell’altro, senza subissarlo di parole che creano muri e bloccano le relazioni.
Benedetto parla del silenzio usando due termini che dicono il tacere, il chiudere la bocca, l’assenza di parole, strumento utile per non cadere nel chiacchiericcio, nel giudizio, nel peccato della lingua che uccide più della spada.
Silentium da silere che dice silenzio di parole, ma anche di quiete, silenzio di tutto ciò che toglie pace, che crea affanno, agitazione, e Taciturnitas, che richiama la discretio, ossia quell’attenzione intelligente, discernimento che ci fa gestare e filtrare parole e gesti perché siano nutrienti e veri a servizio della carità e della vita.
San Benedetto parla di un silenzio del corpo ossia di consapevolezza nei gesti e negli sguardi per non inquinare di rumore e di pensieri rumorosi gli ambienti del monastero e le menti dei monaci distogliendo gli altri e sé stessi dalla preghiera continua e dalla custodia del cuore.
La neve al Cerbaiolo ci faccia rientrare in noi, assaporando il silenzio, il tacere delle parole per dare ascolto alla Parola, all’eremo di farsi voce, di un silenzio sottile come la neve.