“Le Persone della Trinità sono distinte tra loro, come queste foglioline di trifoglio sul loro stelo. Ma unica è la loro sostanza: ciascuna Persona è Dio, come ciascuna fogliolina è erba”.
-San Patrizio, vescovo d'Irlanda-
L’Ascensione è la solennità che celebra la maturità del cristiano e della Comunità, Cristo che sale al Padre lascia la sua Parola, il suo messaggio di vita, il suo sogno di mondo, la sua capacità di rialzare e sanare la vita ai suoi discepoli.
Pone la sua fiducia e speranza su un pugno di uomini, fragili e grandi nello stesso tempo. Li riporta sul monte, alle beatitudini che sono il centro e la sintesi del Vangelo, alle origini del messaggio, per riscoprirne la freschezza e la purezza della fonte, libera dalle incrostazioni del tempo e dell’uomo.
Li invita a predicare il Vangelo, cioè a dire prima la buona novella dell’amore disarmato del Padre, e a immergere il mondo nella vita di Dio, come Lui ci ha portato la nostra umanità salendo in cielo.
L’Ascensione è l’invito del Maestro a divinizzarci. Prima come Lui dobbiamo discendere nella nostra umanità, conoscere noi stessi, chi e cosa ci abita per poi risalire, ascendere alla nostra dimensione di figli nel Figlio, facendo fiorire la nostra umanità fino a raggiungere la condizione divina, con e come il Maestro.
Il Maestro ci invita ad essere amore, cioè a-mors: senza morte.
Ad essere impasti di terra e di amore vestiti di Lui, per immettere vita nelle vene della storia, per liberare la vita, e coloro che liberi non sono.
A essere soffio del suo respiro, del suo Spirito, che fa nuove tutte le cose, che rianima il mondo, la quotidianità di gesti e parole, dando alla vita respiro, liberandola dagli “Egitto” di turno che la soffocano, come dice la parola ebraica che identifica quella nazione africana, מִצְרָיִם Mitzraym.
La Parola di questa domenica ci pone davanti due narrazioni della vicenda di Gesù. Una è quella dei discepoli di Emmaus che tristi lasciano la Comunità e Gerusalemme, e narrano all’inaspettato viandante la vicenda di Gesù, con parole "morte", che non accendono la vita, non scaldano il cuore, prive dello Spirito, senza respiro.
Poi nella prima lettura c’è il racconto di Pietro, una narrazione che racconta una vita, una esperienza che ha fatto alzare la Comunità apostolica, ridandole dignità e coraggio, fiducia nella propria testimonianza, perché di prima mano e non frutto del sentito dire.
Oggi si vive di parole stanche e vuote, la fede si trasmette abitando le domande, scendendo in profondità, lasciando che lo Spirito ci riveli le Scritture, ci spieghi la Parola che Lui stesso ha ispirato.
La fede si narra sulla strada, luogo della vita che si impasta con il reale, e nella casa luogo dell’intimità e della verità, il Risorto spezza il pane, continua a farsi nutrimento dei cercatori di vita, degli affamati dell'Eterno,
Si rende riconoscibile nel segno del pane, che resta come sua presenza, come frammento di Lui da condividere, per riaccendere la speranza e ritornare nella Comunità, luogo in cui il Signore continua a rendersi visibile al mondo, sacramento della sua presenza che salva, prolungamento della sua incarnazione nella storia.
Ridiamo alla fede parole vive e calde per dirsi, parole che abbiano respiro, non avvolte dal sudario di parole morte che raccontano di un passato privo di futuro, a cui hanno rubato la speranza, che accompagnano passi stanchi.
Ridiciamo la fede sui passi dello Spirito, danzando con entusiasmo al ritmo della vita, seguendo il Maestro, rendendolo visibile nello spezzare il pane in memoria di Lui, affratellandoci.