In principio fu un convento benedettino...

Nel 1213 fu donato il sacro monte della Verna al Santo Francesco d’Assisi dal Conte Orlando di Chiusi per edificare il famoso convento. Ebbene, a quel tempo il romitorio di Cerbaiolo esisteva già dalla bellezza di cinquecento anni!

Lo si evince da un atto di donazione in cui Tedaldo, signore longobardo di Tiferno, Suppetia e della Massa Trabaria, concedeva la chiesa e il monastero che aveva fatto edificare in luogo chiamato Cerbaiolo, ai monaci benedettini, il 17 Marzo dell’anno 722. Ciò stilato da Tabellio Tiberio Rinaldi, e già sancito in forma verbale nell’anno 706.

Il canonico Giovanni Sacchi ci informa essere il suo toponimo originario Montis Pauli, Monte di Paolo, forse dal nome del suo primo proprietario, e divenuto poi Cerbaiolo a ragione del "locus acerbus", incolto e solitario che rappresentava, o secondo altri per essere territorio frequentato da cervi.

Ma questo solo non basterebbe a giustificare quanto Cerbaiolo e la sua foresta, col trascorrere dei secoli, fossero divenuti cari agli abitanti della Pieve.

Com’è che un luogo così romito e austero, riservato di per sé a scostarsi dalla Storia e dalle vicende mondane, per seguire il cammino dell’ascesi, può assurgere invece a simbolo tangibile degli umani affetti, a talismano o feticcio di una fede ancor più terrena, fatta di uomini, gesti, sentieri destinati a incontri, parole scritte e dette, di speranza, dolore, disillusione e preghiera, parole ancora così umane, e presenti, pronunciate davanti alla platea sterminata della Storia?

Forse ciò accade come è successo per l’antichissima Cerbaiolo, cioè nel momento in cui due dei personaggi più importanti di tutta la cristianità, vi trovano ricovero, forse vi si incontrano, secondo una trama che confonde continuamente verità storica e di “fede”, consegnando il luogo a qualcosa probabilmente ancora più potente della storia: la leggenda.

Ci informa il canonico Giovanni Sacchi nella sua “Compendiosa Descrizione Istorica della Terra di Pieve Santo Stefano:

Correva l’anno 1217, quando il Santo Francesco d’Assisi, al tempo del suo terzo pellegrinaggio al Monte Verna, fu ospite del castello della Pieve di Santo Stefano. Trovò in particolare alloggio presso la famiglia Mercanti, alla quale, nel dipartirsene, fece dono su loro richiesta del cinto della tunica che gli stringeva i fianchi.

È storia tramandata dal cardiale S. Bonaventura nei suoi opuscoli, laddove narra di codesto “pio regalo e dei suoi prodigiosi effetti”.

“Fu allora che i pievigiani offersero a Francesco l’abbandonato (dai benedettini) romitaggio di Cerbaiolo con l’annessa foresta, rapportando esser desso solingo oltremodo ed adattissimo a menarcesi vita mortificata ed austera. Condottosi Francesco fin là e trovato di fatti quel locale consentaneo ai suoi divisamenti ne aggradì l’offerta ed in breve periodo poté essere ridotto a dimora dei frati: ciò avvenne, stando al Vadingo*, nell’anno 1218”  

(*Luke Wadding, frate francescano e storico irlandese 1588-1657)

Così il Sacchi, che prosegue:

“Nel lasciare Cerbaiolo è fama che Francesco ricovrasse nell’ospitale abitazione dei signori Beccherini presso il villaggio di Castelnuovo e che nel prendere comiato lasciasse loro in ricordo l’istrumento di penitenza, col quale flagellava le proprie carni. Comunque siasi cotesta famiglia conserva tuttora il ricevuto donativo di cristiana mortificazione”.

E se più fonti ci incoraggiano a credere che il santo d’Assisi fosse più volte in Cerbaiolo, tanto più sicuro è il lungo eremitaggio che vi compì un altro gigante della cristianità, rispondente al nome di Sant’Antonio da Padova. Gli annali lo consegnano al bosco di Cerbaiolo e al suo romitorio nell’anno 1221.

Dal ’18 dunque i frati Minori di San Francesco vi hanno preso dimora. Ma procediamo sempre con le parole del Sacchi:

“Appartiene all’anno 1221 la dimora che fece di Cerbaiolo il rinomato Antonio da Padova.

In questo luogo incolto e solitario ebbe comodo di profittare mirabilmente nell’orazione e nella contemplazione delle cose celesti.

Visto che un suo confratello per spirito di fervorosa penitenza aveva prescelto in sua dimora invece dell’ordinaria cella in convento una vicina solinga grotta formata dalla naturale combinazione di più macigni, il richiese di occupar egli quel posto ed ottenutolo, ivi si diè ad ogni sorta di studiate austerità e mortificazioni, registrate a lungo nella leggenda dell’ordine prendendo scarso e disagiato riposo notturno sovra uno di quei massi.

Anzi si aggiunge nella citata vita del santo, siccome anche vuole la tradizione, che svenuto egli un giorno per sfinitezza sovra quel macigno ivi lasciasse impressa la figura del suo corpo, tuttora sussistente sebbene malconcia, atteso essere state tolte a forza alcune particelle per inservire alla divozione di pie sì, ma indiscrete persone.

Poiché Antonio fu elevato all’onore degli altari, onde impedire ogni ulteriore devastamento, fu collocata al di sopra dell’indicato macigno una forte grata di ferro e chiuso il locale con apposita balaustra di legno. A diligenza quindi del padre guardiano Fra Bonaventura da Foiano e del dottor Bonifazio Zabagli procuratore apostolico e sindaco del convento venne innalzata una devota cappella, ove tutt’ora mostrasi il sasso che inservì al prodigio che sopra.

Venne costruita nel 1716, concorrendo all'inerente spesa la comunità e molte pie persone, non tralasciando di notare avere il Granduca Cosimo III donato libbre trecento di ferro, adoperate nella apposizione di alcune catene a sorreggimento della fabbrica ridetta."

La fede, e le sue opere, il loro rituale quotidiano, accordato al ciclo delle stagioni, della terra, degli orti, delle celle e delle mura che compongono un antichissimo romitorio come quello di Cerbaiolo, vengono visitate dalla Storia. La Storia, che è fatta dei grandi personaggi che ne tessono l’ordito, sempre in viaggio, per sentieri, mulattiere e strade, come avidi e gravidi di futuro, nel compiere una grandezza che è sempre un po’ pagana, e che porta con sé un inestinguibile apparato leggendario.